UNA LUNGA STORIA
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Per capire questa lunga storia bisogna partire da molto lontano. Negli anni tra il 1970 e il 1990, quando ero un ragazzino, era molto sentito il tema della protezione dell’ambiente e di specie selvatiche che rischiavano l’estinzione. Il WWF era una delle associazioni più conosciute, io ero uno dei tesserati. La visione ambientalista di quegli anni propugnava un’umanità che vivesse in armonia con gli elementi naturali.
La protezione dell’ambiente passava attraverso la lotta all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, e contro l’antropizzazione e la cementificazione selvaggia del suolo. Per quanto riguarda il salvataggio delle spese selvatiche in via di estinzione si propugnava una chiara delimitazione tra le aree del territorio nelle quali l’uomo continuasse le sue attività (industriali, agricole, turistiche) e quelle che dovevano essere lasciate o tornare alla natura il più possibile indisturbata. Di queste affermazioni sono piene le riviste di quegli anni del WWF che io ricevevo appunto come associato, e che ho conservato. È il cambiamento di paradigma che hanno avuto le associazioni ambientaliste negli ultimi vent’anni che mi brucia di più tra tutto il resto che continuerò a raccontare. L’uomo è diventato l’elemento nocivo da rimuovere dal territorio, la protezione degli animali selvatici è diventata una compassionevole ed innaturale difesa dei singoli individui della specie, anche quando questo possa essere un danno per la specie stessa, che ha bisogno di selezione. I danni provocati dagli animali selvatici, per i quali negli anni ’70 si promettevano veri risarcimenti agli agricoltori e allevatori, sono diventati rischi di impresa a loro carico. In altre parole da quell’“ambientalismo saggio” di quel periodo si è passati ad un “animalismo fondamentalista” che oggigiorno gratifica di più quelle lobby associative in termini di business.
Uno dei primi risultati che ottengono quelle battaglie ambientaliste in quegli anni è l’importante presupposto giuridico con il quale viene inquadrata la fauna selvatica. Considerata prima “res nullius” (cose di nessuno) diventa “res pubblica”, ovvero patrimonio della collettività. L’uccisione di specie selvatiche da difendere non diventa più una semplice infrazione amministrativa ma un reato grave ai danni del patrimonio dello Stato.
Nel 1992 la Comunità Europea fissa le linee guida di quelle che saranno le azioni necessarie alla difesa dell’ambiente negli anni successivi e che in tutta Europa riceveranno poi enormi finanziamenti, noti meglio in seguito come progetti LIFE (Direttiva HABITAT).
Tra il 1992 e la fine del millennio vengono recepite con leggi nazionali dai vari Stati le direttive europee. In Italia con il D.P.R. n. 357 del 8 settembre 1997.
Nel 1994 la legge regionale dell’Emilia-Romagna n.8 sulla caccia n.8 stabilisce all’articolo 17 le norme che prevedono indennizzi agli agricoltori e allevatori. In apparenza quindi questi risultano sempre tutelati dai danni provocati dagli animali “pubblici” protetti. Si parla in quelle norme di indennizzo dei danni, non di aiuti per rischi di impresa (come saranno poi definiti gli stessi contributi molti anni dopo…).
Gli indennizzi per i danni provocati dagli animali predatori rimarranno però erogati secondo i disposti art.23 della legge regionale n.5 del 1988 (Norme per il controllo della popolazione canina).